Domani ci sarò ancora

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Nessun ripensamento, mormora rivolta al suo riflesso punteggiato di bianco. Non questa volta.
D’un tratto il silenzio riavvolge l’appartamento e una frangia castana dai riflessi cinerei fa capolino dallo stipite della porta.
"Mamma, quel marchingegno funziona ancora bene, sei sicura di volerlo dare via?"
Nella si volta e annuisce. Nessun ripensamento. Si stacca dalla finestra. Sul ripiano del lavandino sfiora la tazza di caffè con un dito: caffè solubile, caldo quasi bollente.
Enrica la osserva in silenzio, si aspetta, spera che cambi idea da un momento all'altro. Il suo sguardo si posa sulle spalle curve, i corti ricci grigi ancora modellati dal parrucchiere e si sente stringere il cuore.
"Va bene. Forse allora lo teniamo noi, dopo chiedo a Lorenzo", sentenzia. La frangia scompare di nuovo.
"È un grammofono Enrica, chiama le cose con il loro nome" mormora Nella di riflesso. L'eco della sua voce si allarga in onde sempre più sottili sino a lambire ricordi lontani. Accosta una sedia al tavolo e inspira l'inconfondibile aroma che risale dalla tazza: era un'altra vita quella in cui nella sua credenza sonnecchiava la caffettiera, sempre pronta ad augurare il buongiorno. Perché possederne una, si era chiesta Nella a un certo punto, se non poteva più condividerne il piacere? Tanto meglio un caffè solubile, pronto in un attimo e senza pretese. Ne beve un sorso mentre il suo sguardo torna a perdersi oltre la finestra.
Prima o poi, riflette, lo dovrà dire a sua figlia.
Come se fosse stata chiamata, Enrica entra nella cucina sbuffando: "Mamma, vieni di là un attimo? Ci sono alcune cose che forse vorrai tenere". Nella scuote la testa. "Fai tu, tieni tutto quello che desideri. Io sono a posto così".
Enrica le lancia un'occhiata dubbiosa. "Sei sicura? Non capisco come all'improvviso tu voglia disfarti di tutte queste cose, le hai sempre conservate con..."
"Sono sicura", la interrompe Nella fissandola negli occhi scuri e abbozzando un sorriso.
Sembra freddo, distante e fuori luogo, come tutta quella situazione, pensa Enrica lasciandosi scappare un sospiro sconsolato. Ha sempre saputo che quel momento sarebbe giunto, ma neppure i quarant’anni appena compiuti sono stati sufficienti a prepararla.
Ritorna nella stanza accanto e afferra uno degli scatoloni vuoti che ha ammassato al centro, l'unico punto risparmiato ai ricordi di una vita insieme.
Da dove proseguire, si chiede, ora che il grammofono è stato imballato e tutti i dischi di suo padre attendono l'approvazione di Lorenzo per cambiare casa e famiglia? Enrica guarda la vecchia libreria con i primi due ripiani abitati dai 50 volumi dell'enciclopedia botanica datata 1960. Soppesa il verde sbiadito delle copertine e si domanda: chi potrebbe desiderarla? Un appassionato di piante? Un antiquario? Ma chi davvero l’apprezzerà come suo padre?
Enrica riflette sulla possibilità di liberare due piani della sua libreria: accanto al grammofono, quei volumi conferirebbero un tocco di antico al suo anonimo salotto. Perché no?, considera soddisfatta, Lorenzo non avrà nulla da ridire. Inoltre, se Nella si pentirà della sua decisione, potrà sempre richiederle tutto indietro. Ed Enrica è convinta che presto o tardi accadrà.
Con lo scatolone ancora in mano si volta di 180 gradi e si ritrova di fronte il vecchio armadio graffiato dal tempo. Ne apre le ante e istintivamente si porta una mano davanti al naso: non è rimasta traccia del profumo di suo padre in quell’universo di naftalina.
La mano libera scivola veloce tra le camicie appese facendole oscillare.
"Sei proprio sicura mamma di non volere più niente?" mormora riaccostando piano le ante. Sente nascerle un groppo in gola e chiude gli occhi. Ormai è convinta: sua madre se ne vuole andare.

Nella appoggia la tazza sporca nel lavandino e si riavvicina alla finestra. Un lieve strato bianco ha ricoperto il cortile, come se da un momento all’altro dovessero arrivare gli imbianchini per ridipingere il paesaggio.
Pensava sarebbe stata male, come le era capitato la prima volta, invece non ci sono che i soliti acciacchi: Nella si passa una mano sul collo, lo sente rigido, in tensione, niente che però non abbia imparato a sopportare.
Anche questo dolore si scioglierà, pensa mentre sente il richiamo della neve. Prova l'improvviso desiderio di uscire, di prendere un po' di quell'acqua gelata tra le mani e giocare a palle di neve, come faceva da piccola con suo padre. Lo rivede di fronte a lei, alto, con i baffi scuri che le sorridevano sempre prima di dirle: "Vado alla legna e tu va' a scuola. Quando torno ci sarà un bel calduccio ad aspettarti".
Non era vero, non faceva mai caldo nella loro casa: Nella si accucciava vicino al caminetto e sillabava ad alta voce le parole scritte a caratteri grandi.
Ricorda il riverbero della fiamma che solleticava le lettere e lei immaginava che anche loro avessero freddo in quella pagina priva di colori. "Lo sai papà che d'inverno gli animali dormono? Raccolgono tante cose da mangiare e poi dormono fino a quando non nevica più".
Il padre si puliva gli stivali mentre la madre preparava la cena. Nella ricorda gli spifferi che facevano i dispetti alla fiamma: ricorda il suo caparbio arruffarsi e sollevarsi per ricacciarli lontano. Lei tifava sempre per la fiamma.
"Qual è la parola giusta, Nella?" le chiedeva la madre.
"Letargo!", rispondeva Nella orgogliosa e i baffi del padre le sorridevano subito: "Brava! Ecco perché la scuola è importante: tutto ha un nome e tu lo devi conoscere".
Nella si stringe nelle spalle e le sembra di risentire il freddo, la lotta tra lo spiffero e la fiamma. Alla fine lo spiffero aveva vinto.
Enrica piega l'ultima camicia e la depone nello scatolone. Ora lo dovrà chiudere. Il suo sguardo si posa sui vetri umidi. La neve. Eccola lì, anche quell'anno. Ignara di tutto. E di tutti. Una lacrima le scivola a tradimento lungo la guancia. L'asciuga veloce, come se non ci fosse mai stata. Ora è la volta dei pantaloni. Tutti i pantaloni di una vita da padre.

Nella posa una mano sul vetro appannato e vi lascia la propria impronta. Ora il palmo è umido e lei osserva il vuoto contorno delle dita da cui scendono lenti rigagnoli di goccioline. Scivolano giù e deformano il ricordo. Enrica aveva sempre amato la neve, a lei non faceva paura. A lei non aveva mai irrigidito le dita dei piedi sino a piangere dal dolore. Per sua figlia era sempre stata una promessa.
"Mamma, credo di non aver portato abbastanza scatoloni", Enrica entra in cucina e lancia un'occhiata all'orologio: tra mezz'ora deve essere a casa.
"Non importa, c'è tempo per finire".
Enrica fissa la madre che si sta strofinando una mano sui pantaloni in velluto.
"Ce n'è mamma?" le chiede turbata.
"Ho voglia di fare due passi, vieni con me?"
Enrica la guarda sospettosa: sua madre e l’inverno sono sempre stati nemici giurati.
"Non ti è mai piaciuta la neve".
"Lo so", replica Nella prendendo il cappotto. "Alcune paure ti accompagnano per tutta la vita".
Enrica rimane in attesa: sua madre non le ha mai spiegato il motivo della sua antipatia per l’inverno. Tutto quello che sa è che le battaglie a palle di neve, le corse sullo slittino, i magnifici mostri di ghiaccio che facevano la guardia al loro cortile erano sempre stati momenti speciali solo tra lei e suo padre.
"Che cosa ti faceva così tanta paura mamma?" si azzarda a chiederle mentre si infila a sua volta il cappotto ed esitante la prende a braccetto.

Un fiocco di neve scivola sul naso di Nella e lei lo accoglie sulla lingua, come faceva da piccola. Sa di inverno ma non è freddo.
"Avevo otto anni quando mio padre morì, pochi giorni prima di Natale", rivela piano riempiendosi gli occhi del velo bianco spolverato tutt'intorno. "Era uscito per andare a tagliare la legna, come faceva sempre, così quando io tornavo da scuola potevo rannicchiarmi accanto al fuoco. Ma quel giorno tornai solo io".
Enrica le stringe il braccio.
"Perché non me lo hai mai detto? Papà lo sapeva?"
"Sì, lui lo sapeva, ma non era giusto dirtelo prima. Quando una paura ti si attacca addosso, provi sempre freddo".
Enrica chiude gli occhi e inspira piano. È un freddo che conosce bene e che teme di non riuscire più a scacciare. È tornato l’inverno, nevica e suo padre non c’è più da cinque anni.
Madre e figlia rimangono in silenzio a guardare i fiocchi di neve che scivolano giù dal cielo e si appiccicano ostinatamente al mondo. Poi Enrica formula la domanda che la spaventa di più.
"Mamma, che cosa ti ha detto il dottore? Dimmelo, ti prego".
Nella si libera dolcemente dalla stretta della figlia e con la mano guantata raccoglie un mucchietto di neve farinosa. La passa da una mano all'altra conferendole una rotondità spigolosa e la lancia senza vigore davanti a sé.
"È tornato. E questa volta andrò via con lui. Sono troppo vecchia" rivela calma.
Enrica la fissa incredula: "No, non dire così, perché ti vuoi arrendere?" Si sente afferrare alla gola dalle lacrime. "Non te ne puoi andare anche tu. Devi lottare!"
Nella scuote la testa: "Sono stanca di lottare, ho lottato per tutta la vita contro la paura, ma vedi? Ritorna sempre".
"Non dire così, hai solo settant'anni! Farai di nuovo la chemio se necessario. Farai tutto quello che è necessario".
Nella poggia una mano sul braccio di Enrica che distoglie lo sguardo imbarazzata dal suo stesso dolore.
"È per questo che vuoi liberarti di tutte le cose di papà?" le chiede amara.
"No. È solo perché finalmente la sua assenza non mi spaventa più".
Nella estrae un fazzoletto dalla tasca e lo porge a Enrica.
"Non essere triste. Ora torna a casa da Lorenzo e Delia. Non lasciare che giochino da soli a palle di neve".
Enrica si passa il fazzoletto sulle guance e coglie il profumo di sua madre. È una scia lieve che vorrebbe poter conservare. Non è ancora pronta a sostituirla con l’odore di naftalina.
"E tu...?" chiede angosciata. Nella ride: "E io rimango qui, non ti preoccupare. Non mi dissolvo nel nulla. Domani ci sarò ancora".

Info autore 

Scritto da Tizy Fortune, novembre 2021
Il racconto appartiene alla sua legittima proprietaria, ed è stato pubblicato su Shiningarden per gentile concessione dell'autrice.
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