- Immagine di Oliver Lechner - |
Era un bel dire che nessuno la pedinava, e che nessuno si sarebbe preso la briga di farlo. Suo marito Carlo accumulava straordinari quasi ogni sera per far quadrare i conti; col tempo la sua bellezza da giovane sposina aveva assunto un incedere sempre più goffo e pesante; e di certo la merceria Corsetti, per la quale lavorava part time, non custodiva segreti industriali che qualcuno avrebbe desiderato estorcerle. Se non si trattava di soldi, passione o spionaggio, si chiedeva Sara, perché un nano in doppiopetto verde sembrava seguirla?
Quel pomeriggio lo rivide: era appoggiato a un lampione, all'altro lato della strada. Aveva le braccia incrociate e lo sguardo puntato su di lei. Sara era andata all’asilo a prendere suo figlio Lorenzo, come faceva ogni giorno, sempre alla stessa ora. E il nano era là. Poteva trattarsi di una coincidenza?
Inquieta, afferrò Lorenzo per la mano e se lo trascinò dietro. La loro casa distava pochi isolati e Sara di rado prendeva l'auto o i mezzi.
Anche il dottore aveva detto che un po' di moto avrebbe fatto bene sia a lei che al bambino. All'altro bambino.
«Mamma, perché corri?»
Sara si voltò cauta e, non scorgendo nessuno, rallentò il passo. La mano di Lorenzo sfuggì alla sua e il bambino iniziò a tirare calci ai sassolini. All'improvviso scoppiò a ridere. Sara avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma l'inquietudine la riassorbì. Era come l’alta marea: nasceva dalla bocca dello stomaco e risaliva fino alla gola.
Sara cercò nuovamente la mano del figlio e gli sorrise: «Tutto bene, ometto?» Da qualche tempo Lorenzo parlava sempre più spesso da solo.
Rideva da solo e giocava da solo.
Il bambino annuì distrattamente.
Sara si ripeté che andava tutto bene: nessuno le voleva far del male, suo figlio era come gli altri e suo marito non la tradiva nonostante, ne era sicura, il suo fascino fosse pari a quello di una mucca.
La sera prima era stato il loro terzo anniversario e Carlo l'aveva portata in uno di quei ristoranti del centro che non si potevano permettere. Le aveva regalato una serata romantica e le aveva sussurrato: «Anche così, sei bellissima».
Quella notte, la pancia di sei mesi non aveva impedito a Sara di incoraggiare Carlo finché l’inquietudine si era di nuovo arrampicata lungo la sua spina dorsale. Non era riuscita a ricacciarla indietro così, alla fine, aveva scacciato suo marito.
Ora Lorenzo giocava nella sua stanza e lei cercava di ritrovare la lucidità riordinando il bucato appena raccolto. La camicia che Carlo aveva indossato la sera prima era distesa sul letto. Una macchia bianca sul rosso vinaccia del piumone. Sara si avvicinò per rimetterla nell'armadio: la sollevò e se l'accostò al viso. Aspirò il suo profumo e chiuse gli occhi. Si ricordò del loro primo incontro e di come il profumo di Carlo l'avesse rassicurata. Sapeva di lui.
Sara sistemò la camicia e all’improvviso sentì la testa girarle. Si appoggiò alla sedia di fronte al mobiletto da toilette e si sedette.
«Sei paranoica. Non c’è niente che non vada», disse stancamente, rivolta alla sua immagine riflessa nello specchio.
«L'importante è esserne convinti», gracchiò una voce alle sue spalle. Sara scorse il riflesso del nano in doppiopetto e inorridì. Si voltò e scattò in piedi. Il nano la guardava sogghignando, la testa lievemente piegata da un lato.
«Chi è lei? Come è entrato?» Sara sentì mancarle l’aria. «Esca immediatamente da casa mia! Se ne vada!» urlò indicando la porta.
Il nano continuava a guardarla noncurante: «Credi davvero che sia così facile?» Ridacchiò facendole il verso: «Se ne vada! Se ne vada!» La sua voce era diventata così stridula da costringere Sara a portarsi le mani alle orecchie.
All'improvviso il nano si rifece serio: «Vattene tu, piuttosto».
Sara pensò a Lorenzo nella stanza vicina e riguadagnò un barlume di lucidità. Doveva proteggerlo. Rifletté che forse sarebbe riuscita a battere il nano in velocità se avesse provato a scappare.
Lui però la colse alla sprovvista: si mosse verso la sedia, la prese trascinandola accanto all’armadio e si arrampicò fino ad afferrare una borsa su uno degli scaffali. Gliela lanciò ai piedi e con un salto ritornò a terra.
«Forza, riempila e andiamocene».
Ma cosa voleva da lei quell’essere? Spaventata, si avventò sul telefono accanto al letto.
«Mamma, con chi parli?»
Stava per urlare al figlio di scappare quando, voltandosi, notò che il nano non si trovava più nella stanza.
«Mamma...»
«Con nessuno, ometto, nessuno», lo rassicurò Sara continuando a guardarsi intorno.
Lorenzo era fermo davanti alla porta, una macchinina tra le mani e la osservava dubbioso. Poi fece spallucce e, rivolto a qualcuno alla sua sinistra, borbottò: «Te l'ho detto che non c'era nessuno, non mi credi mai».
All'improvviso Sara vide materializzarsi accanto al figlio il nano in doppiopetto verde.
«Oddio Lorenzo... chi è quello?» gridò. Lorenzo si volse verso di lei e sorrise. «Lui? È Gustave! Lo vedi anche tu?» le chiese. «Dice che nessuno lo può vedere a parte me, ma spesso dice bugie».
«E chi sarebbe...?» la voce di Sara tremò, strinse la cornetta del telefono più forte, quasi le offrisse conforto.
Lorenzo sembrò pensarci: «Hum, vediamo... è un folletto, anche se lui si offende quando lo chiamo così...»
«E vorrei ben vedere!», intervenne il nano. «Ci mancherebbe altro... un folletto... puah, io sono un leprecauro e non mi mescolo ai folletti, quelli là».
Sara provò a inspirare profondamente: temeva di non riuscire più a controllare la marea dentro di sé. A un tratto il telefono squillò, facendola sobbalzare.
Sollevò il ricevitore, gli occhi puntati sul nano: «Pronto». Era Carlo.
«È papà?» chiese Lorenzo illuminatosi in volto. Sara fece appena in tempo a sentire che il marito avrebbe ritardato, anche quella sera, quando il figlio le strappò il telefono dalle mani. «Papà, papà, lo sai che oggi abbiamo giocato a mosca cieca e io...»
Sara fece spazio al figlio e si appoggiò al letto. Il suo sguardo sfiorò la borsa che il nano le aveva gettato ai piedi.
«Hai visto?» le disse lui. «Alla fine loro preferiscono sempre qualcun altro». Sara annuì impercettibilmente, incapace di capire cosa stesse succedendo. Risollevò lo sguardo sul nano, ma lui era di nuovo sparito.
Lorenzo riagganciò e si guardò intorno: «Gustave, Gustave!» Corse via e Sara non riuscì a dirgli nulla.
Riportò lo sguardo sulla borsa e gli diede un colpetto con la punta del piede. Era nuova, l'aveva comprata una settimana prima: con quella borsa tra le mani era riuscita a placare l’angoscia che l’assaliva ormai regolarmente.
"Sono una pessima madre e una pessima moglie, non servo a niente", pensò posando lo sguardo sul suo girovita deformato e trattenendo il moto di ansia che minacciava di risalire.
«Riempila e andiamo», il nano era di nuovo accanto a lei e le porgeva la borsa. Sara l’afferrò come in trance.
Si avvicinò all'armadio e accarezzò la manica della camicia di Carlo. Lasciò cadere la borsa e prese la manica con entrambe le mani portandosela alle labbra. Sapeva di lei e di nessun'altra. Doveva sapere di lei.
Il nano iniziò a battere con la scarpa sul pavimento: «Abbiamo finito? Stiamo perdendo tempo!»
Sara non gli diede retta, sbatté l’anta dell’armadio e corse via. Temeva di star diventando pazza.
Nella stanza accanto Lorenzo mimava una gara di velocità tra macchine. Sara fece un profondo respiro e bussò alla sua porta. Il bambino sollevò lo sguardo verso di lei: era seduto sul pavimento, una macchina gialla in una mano, una rossa nell'altra, sospese a mezz'aria sul punto di scontrarsi.
Sara gli sorrise, ma lui non ricambiò.
«Te ne vai, mamma?» le chiese tutto serio appoggiando le macchinine sul pavimento.
Sorpresa, Sara scosse la testa: «No, ometto, non vado da nessuna parte».
«Gustave dice di sì. Dice che non vuoi più bene a me e a papà. Dice che sei triste», Lorenzo abbassò lo sguardo sulle macchinine facendo scivolare quella rossa avanti e indietro.
Sara allontanò lo sguardo offuscato, chiuse gli occhi ed espirò profondamente.
«Gustave dice le bugie, me lo hai detto tu», disse infine lanciandogli un sorriso. Si era appoggiata una mano sulla pancia. «Voglio tanto bene a te, al papà e al tuo fratellino».
«Non te ne vai più?»
Sara scosse la testa e Lorenzo ricambiò il suo sorriso prima di riprendere entrambe le macchinine e lo scontro interrotto.
«Gustave dice che anche lui è contento che non te ne vai».
Sara si guardò intorno ma non vide nessun nano in doppiopetto.
Quella sera, dopo aver messo a letto Lorenzo, Sara si rilassò con un bagno profumato. Si lasciò accarezzare dall'acqua tiepida ricacciando indietro l'alta marea dell'ansia che le bucava lo stomaco. La borsa era sempre lì, nel ripiano più alto dell'armadio, ma lei non sapeva a cosa sarebbe servita.
Alle dieci Carlo non era ancora tornato. "È tutto a posto", iniziò a ripersi. "Sta per tornare. È solo lavoro, solo lavoro".
Sentì la serratura scattare e sobbalzò.
Carlo sembrò sorpreso nel vederla sveglia.
«È tardi», gli disse lei.
«Lo so, non dovresti essere ancora in piedi. Vai a dormire, non devi stancarti».
Sara risentì l'alta marea farsi strada dallo stomaco alla gola. Carlo non la voleva più?
Gli si avvicinò. «Mi sei mancato», mormorò posando il viso sulla sua spalla. Lui le passò un braccio intorno alla vita. Sara aspirò il suo profumo. Non sapeva di donna. Non sapeva neppure più di lei.
Si strinse a lui e il pancione aderì al suo ventre.
«Anche tu mi sei mancata», mormorò Carlo accarezzandole i capelli.
Sara gli baciò piano il collo e salì fino alla sua bocca. Sentì le labbra screpolate di lui che si ammorbidivano al contatto con la sua saliva. Afferrò la sua mano e lo guidò verso la loro stanza. Carlo la seguì come se loro due fossero l'uno la mano dell'altro.
Non c'era nessuno nella stanza, nessuno a parte loro. E se anche ci fosse stato, pensò Sara, quella notte avrebbe aspettato fuori.
Info autore
Scritto da Tizy Fortune, maggio 2022
Il racconto appartiene alla sua legittima proprietaria, ed è stato pubblicato su Shiningarden per gentile concessione dell'autrice.
È vietata ogni riproduzione non autorizzata. Per informazioni scrivete a info.shiningarden@gmail.com. Grazie
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